giovedì 19 maggio 2011

I Float Down The Liffey

Evidentemente non ancora abbastanza sazia dopo l'abbuffata reale, La Tana del Grillo va di bis la settimana seguente, recandosi nientepopodimenoche nella verde Irlanda, per un previsto weekend ad alta gradazione alcolica. L'atterraggio in quel di Baile Átha Cliath viene preparato a dovere dalla presenza in aereo di autentico esemplare celtico maschio, che nel tragitto fra la capitale del Regno Unito e quella dell'Eire (durata: meno di un'ora) non resiste alla tentazione di scolarsi almeno due heineken volanti, mentre tutto sudato fornisce al suo vicino balbettanti spiegazioni riguardo il disincastrarsi della sua sindria formato famiglia dal tavolino reclinabile sul quale ha poggiato le lattine. Non giuriamo sul fatto che prima di salire in aereo fosse sobrio. That's the spirit. Dublino ci accoglie - manco a farlo apposta - bella e piovosa. Per fortuna il bus attraversa le varie tanche di ferula in periferia e ci molla ad un tiro di schioppo dall'hotel (pulito: unico aspetto positivo), posizionato nell'elegante quartiere georgiano, a ridosso del Grand Canal e proprio dietro St. Stephen's Green. La sera ci pare cosa buona e giusta - dopo l'obbligatoria peregrinazione lungo il Liffey - equipararci alla gioventù, cosicchè ci buttiamo a capofitto a Temple Bar, circondati da gente che caracolla in maniera inequivocabile. Durante la (ottima) cena a base di salmone dalla strada continua a giungere la musica. Dublino senza il suo sottofondo musicale perenne (e senza i suoi indimenticabili semafori sonori per i non vedenti) non sarebbe Dublino. I musicisti di strada si susseguono l'uno dopo l'altro senza soluzione di continuità: ci sono i vecchi con la barbetta gandalfiana ma più folk e la splendida voce straziata dal fumo, gli universitari dall'aspetto punkeggiante che hanno la chitarra scordata e i jeans strappati, i tizi qualunque con la camicia da boscaiolo che passeggiano accanto a te con lo strumento in mano e in un amen decidono che quell'angolino li' è perfetto per loro e si fermano e cominciano a suonare come se niente fosse. La canzone più gettonata (la ritroveremo anche dopo, appollaiati sulla vetrina di un pub, e poi dopo e poi l'indomani e via dicendo) resta questa qui. Alcune pinte dopo, se si eccettuano polacchi che ti si sbattono addosso e altri che ti chiedono con insistenza dove è possibile procurarsi una canna, puoi andare a dormire soddisfatto. Del resto il clima è allegro e rilassato come l'ultima (e unica) volta in cui ci eravamo stati, ben altra cosa dall'alcolismo autodistruttivo al quale abbiamo assistito non più di cinque giorni prima. Neanche a dirlo, Temple Bar ma Dublino in generale pullula di italiani, compreso un ristorante/pizzeria/gelateria che non possiamo evitare di provare. 
L'indomani si parte col turbo, frutto di una bella colazione da campioni in un posticino assai gradevole in Grafton Street (quasi di fronte, c'è un tizio che suona pezzi di Elvis col basso ed ha il berretto pieno di monetine): stile vittoriano, spremute d'arancia, fagioli, salsiccione e thè col latte. Pur essendo il tutto veramente buono, il giorno dopo, pre-partenza, si opterà per un "continental breakfast" allo scopo di preservare il fegato per il resto della stagione. La colazione dà modo di riflettere che la cosa bella della città, oltre alle pinte, alla musica e al verde dappertutto, è la gente. Persone semplici e gentili, ma di una gentilezza autentica, ovunque le si incontri, che non rasenta mai l'invadenza o la ruffianaggine. Inoltre gli abitanti di Dublino sono giovani. Ma non come in Italia, dove lo si è fino a cinquant'anni: qui la maggior parte di quelli che incontri (a parte i turisti, ok) hanno meno di trent'anni. Ed è cosi' al pub, in libreria, al parco, alla fermata dell'autobus. Perfino i poliziotti (la mitica Garda) sono all'apparenza dei ragazzini. Con questa leggerezza nel cuore (e con l'Irish full breakfast in pancia) si visitano in serie: il Dublin Castle, la Chester Beatty Library Gallery, la Christ Church Cathedral e - last but not least - la cattedrale di Saint Patrick. Il Trinity College verrà visitato a tappe, con la promessa di farlo con calma l'ultima sera, tanto è sempre di strada: l'ultima sera, ovviamente, lo si troverà chiuso presto. La fame fa capolino tardi, come previsto, ma non si rinuncia al pranzo presso il pub Bruxelles (quello con la statua di Phil Lynott fuori), accompagnando il pasto con altre due pinte e con il primo tempo alla tv di Everton-Manchester City. Accanto a te puoi incontrare il sessantenne indigeno che vuole vedere la partita, i turisti, la madre di famiglia coi bambini (e con la pinta), il gruppo di amici che si ritrova per fare quattro chiacchiere (e che se la beve di brutto). Il pomeriggio, oltre a digerire il pranzo, si decide di visitare anche l'altra riva, quella proletaria e decisamente meno turistica. Prima si becca uno splendido mercatino delle pulci, dove i presenti (sono le 4 del pomeriggio) sono tutti a birroni, poi si risale lungo O'Connell Street, alzando lo sguardo per capire quanto cazzo è alta The Spire e assaporando l'aroma di fish'n'chips che non si scrosterà più dai vestiti fino... beh fino a poco fa. L'atmosfera è simpatica, forse anche perchè è in corso una manifestazione per la legalizzazione della marijuana e il profumo che aleggia al Garden of Remembrance sostituisce almeno parzialmente quello del fritto. La sera si decide di dare tregua al fegato, infilandosi in un sushi bar ma poi addio sogni di gloria con doppia pinta al Duke, bel pub situato in traversa di Grafton Street. Ancora una volta i camerieri (e pure i clienti) sono tutti sorridenti e gentili ed è incredibile come tutto questo non ti dia fastidio o non risulti esagerato. Oppure magari fingono di essere gentili, pero' lo fanno talmente bene che hai voglia solo di gustare la tua Guinness senza rotture di palle. A proposito di Guinness: non possiamo terminare il post senza citarla. A Dublino il merchandising relativo alla Guinness è addirittura opprimente: ci sono innumerevoli punti vendita con oggetti che vanno dalle magliette ai cavatappi, ai cappelli da baseball col cavatappi sulla visiera, agli accendini. I prezzi, tuttavia, sono mica tanto invitanti (Dublino non è nient'affatto economica e non dà assolutamente l'idea di essere la capitale di una nazione in grossa crisi economica, anzi: bisognerebbe vedere le altre città, pero'), per cui la tentazione di acquistare il gadget, come fanno esattamente tutti quelli intorno a te è forte ma insomma, anche no. Infine il suddetto gadget verrà acquistato, non in città ma in aeroporto (eh già), ed è il seguente: una presina per cucina Guinness, una roba morbidissima per mani giganti, beige coi bordi rossi, con in bella mostra il celebre tucano. (Lo abbiamo già testato col forno, mentre col caffè è più complicato, per via delle dimensioni: non si riesce a stringere bene il manico della caffettiera). Tutti contenti col nostro tucano, siamo ormai pronti per salutare Dublino. L'ultima volta giurammo che non sarebbe stata l'ultima. Idem per stavolta. Nel frattempo, qualche breve scroscio di pioggia annuncia l'imbarco per la prossima destinazione. Che non è troppo lontana, giusto dall'altra parte del Mare d'Irlanda. (continua)  

2 commenti:

  1. lo straniero5/19/2011 2:22 PM

    l'unico irlandese testa de gazzo e astemio, insomma, me lo son beccato io in casa per un anno...

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  2. Immagino che gli irlandesi teste de gazzo esistano. Irlandesi astemi, insomma, nutro qualche dubbio in più...

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