martedì 20 novembre 2012

Attacco l'Alsazia con dieci armate!

Non dite che non vi avevamo avvisato: mantenere in vita questo blog non è affar semplice. Ora, ad esempio, ho giusto il tempo di usare il defibrillatore e vedere un po' che cosa ne è rimasto. Per darvi un'idea: questo post è stato inizialmente concepito un paio di settimane fa, e vede la luce solo adesso. Le due settimane fa coincidevano con il rientro dall'esplorazione della Francia orientale, ovvero oltre 2000 km di bontà in olio d'oliva. Eh già, perché ce lo siamo fatti en voiture, il giretto, con tanto di sconfinamenti e pranzi al sacco come nella miglior tradizione della Tana. Inutile percio' stare ad elencarvi pedantamente itinerari, menù, andamento delle temperature. In sintesi: tutto piuttosto bello, tutto piuttosto buono, un freddo da bazzi. Ecco allora le dieci cose dieci da ricordare – non necessariamente le migliori – del recente viaggetto in Alsazia e dintorni. Pronti, via:

1. Poco dopo la scoppiettante Auxerre (pieno centro deserto di sabato pomeriggio: la visione di un camioncino che faceva le crêpes è parsa inizialmente un miraggio), un inatteso regalo propostoci dal percorso: in una tanca di fèrula nel bel mezzo della campagna abbiamo avvistato un cartello con annesso indiscutibile logo, PIZZERIA BATMAN. Il bello è che son riuscito poi a trovarlo in qualche modo anche in rete, peccato non ci sia il sito ufficiale con il menù perché secondo me merita.

2. Il benvenuto in Germania – dove non ci sono limiti di velocità, tranne che in alcuni tratti – ci è stato dato da un tizio in autobahn. Non appena abbiamo messo piede (o per meglio dire, ruota) sul suolo teutonico siamo stati sorpassati da un'auto che andava di certo ad oltre 200 km/h. È stato come vedere avvicinarsi un meteorite nello specchietto retrovisore. Dice: e che macchina era? E chi cazzo l'ha vista? Era bianca.

3. Non ho assolutamente idea del perché, ma quando facevamo colazione negli hotel la mattina – momento notoriamente fra i migliori di ogni viaggio che si rispetti – ogni volta c'erano delle giovani famiglie spagnole, o sudamericane, insomma parlavano spagnolo. Aria simpatica ma un tantino a disagio, tortillas individuate col radar e, soprattutto, la tuta. Padre, madre e possibilmente anche figlio piccolo, tutti in processione come matrioske con le loro belle tute in acetato (!).

4. A Strasburgo (a proposito: a parere di chi vi scrive più bella città di Francia dopo la capitale), abbiamo trovato una trattoria dall'aspetto invitante e sufficientemente croccante nel cuore del centro storico. I pochi dubbi sulla qualità della cucina sono stati spazzati via dal vecchietto nel tavolo di legno accanto, che si è addormentato durante la degustazione del suo brasato di cervo con porcini. Un secondo dopo, abbiamo ordinato. Alla fine il vecchietto si è risvegliato e si è portato via il suo quartino di rosso.

5. Sempre a Strasburgo ci è capitato di visitare una chiesa dalla storia intrigante (ce ne sono due che portano lo stesso nome ma la prima originale era protestante mentre questa è cattolica) e una vecchietta – non pensiate che siano tutti vecchi a Strasburgo, anzi – ci ha accolto in qualità di "guida" per raccontarci le varie vicende che hanno portato alla sua costruzione. Rivolgendosi alla mia dolce metà ad un certo punto ha detto "ah ma lei forse non capisce il francese." Ovviamente ha proseguito il suo monologo turistico-religioso con me, che a quel punto non ho aperto bocca manco per sbaglio.

6. In Alsazia – immagino a causa delle temperature intrattabili – quando entri in un ristorante, trattoria, taverna, ovunque, ci sono delle enormi tende che separano la porta d'ingresso dalla sala vera e propria e dunque mantengono caldo l'interno. Il bello è che in alcuni casi (diciamo nei luoghi più promiscui) per districarti finisci quasi per gettare il bordo delle tende nella zuppa dei clienti più disgraziati, capitati sfortunatamente vicino all'uscita. Come se già non bastasse il freddo.

7. A Colmar, cittadina peraltro bellissima, siamo arrivati verso le sette di sera e non c'era un cane in giro. Negozi chiusi, illuminazione inesistente, grossi punti di domanda sul perché cazzo non ce ne siamo rimasti a Strasburgo. A coronamento dei dubbi uno stormo di corvi – apparentemente gli unici esseri viventi nel raggio di svariati metri – ha cominciato a gracchiare. Ci siam detti: troviamo un ristorante e boh. Mi è venuta un po' meno fretta quando ho iniziato il mio baeckeoffe.

8. Ancora le stranezze di Colmar. Da queste parti il colmarien più famoso a tutt'oggi è Bartholdi, il cui nome lo si ritrova un po' dappertutto come il prezzemolo. Tanto per omaggiare il loro celebre concittadino a Colmar hanno edificato una riproduzione della Statua della Libertà. Dove l'hanno messa? L'hanno strategicamente collocata in una rotatoria in piena zona industriale, fra un caseggiato e l'altro all'ingresso della città. La prima reazione è chiedersi dove cazzo si è finiti. Chissà perché ma mi sono immaginato un enorme candeliere in una qualunque zona di Predda Niedda: ecco, nonostante tutto forse perfino il candeliere sarebbe meno brutto.

9. Magica Colmar. Prima di partire abbiamo fatto un meritato pit-stop al supermercato, Leclerc, ovvero lo stesso che frequentiamo qui a Limoges. In questo luogo meraviglioso – che ci consente oltretutto l'acquisto di una bottiglia di Cynar, oggetto la cui ricerca stava diventando una sorta di tentativo di conquista del Sacro Graal – abbiamo notato che il reparto alcolici è qualcosa come il triplo (anche in proporzione agli altri reparti) rispetto a quello che vediamo abitualmente. Poi ho alzato lo sguardo ed ho visto i volti rubizzi dei clienti. Una fazza una razza.

10. Mossa finale da campioni, ancora nel suddetto supermercato: non paghi del Cynar, del Riesling, nonché di altre puttanate varie, abbiamo optato per l'acquisto del Munster, un formaggio dall'odore inconfondibile che successivamente ci allieta per i quasi settecento chilometri che ci separano da casa. La sistemazione nel bagagliaio – con tanto di buste, casse, frasche e sterpaglia – non neutralizzerà gli effluvi manco per il cazzo, cosicché ogni qual volta bisogna fare una pausa si aprono le portiere ben consci del pericolo. Pero' è talmente buono che, piuttosto che gettarlo via, abbiamo tenuto il respiro.