sabato 28 maggio 2011

Bene! Bravo! Bis!

Serata di gala nella giornata di ieri per il vostro umile ed affezionatissimo corrispondente della Tana. Si è trattato infatti di presenziare in veste di vero e proprio vip ad una festa di fine anno: si', insomma (molto insomma) una specie di serata da film sui collegiali americani, avete presente no? Soltanto che l'età media della serata si aggirava intorno ai 104 anni. La festa si proponeva come scopo quello di dire addio alla stagione calcistica 2010-2011 da parte di una associazione culturale italiana che preferisce rimanere anonima. In qualità di simpatico collaboratore di tale associazione, il Vostro si reca dunque nella Sala-delle-Feste (oh yes) di una frazione alle porte di Porcellana-City all'ora di cena, dopo aver litigato con il solito googlemaps figliodiputtana che aveva deciso di condurci da tutt'altra parte, precisamente in mezzo alle mucche. E comunque. Il Vostro era a conoscenza di dinamiche relative a buffet e cena in piedi, mentre voilà un salone enorme e tre tavoli lunghi quanto delle sequoie abbattute e distese sul pavimento in parallelo. In piedi non si puo' fare altro che riempirsi il piatto. Il clima, tutto sommato, è gioviale, ancorché surreale. C'è chi lavora alacremente di mandibola, chi ascolte le chiacchiere del vicino di sedia, chi invece si porta la mano attorno all' orecchio perché è sordo come una campana, chi si guarda attorno smarrito, chi pensa ma che cazzo. Tutti coloro che pensano ma che cazzo sono italiani e sono stati strategicamente posizionati in fondo ad una delle tre sequoie. Poco oltre ecco il palco, nascosto da un sipario rosso. Il tovagliolo tricolore con su scritte tipo "pasta", "amore" e "vino" mette subito in chiaro le cose. Durante il pasto, infatti, sono previste alcune esibizioni, con protagonisti di volta in volta alcuni aderenti all'associazione. La prima è quella di un duo fisarmonica-tromba, donna-uomo. Viene annunciato che i presenti saranno allietati da delle musiche tipiche del Piemonte. La fisarmonica attacca. Il signore accanto, in jeans e basetta color canna di fucile cerca a lungo il momento giusto per farsi vivo. Purtroppo si capisce abbastanza in fretta che la tromba non è in grado di svolgere appieno il suo dovere e il Louis Armstrong de noartri è lievemente arrugginito. Cio' che ne consegue è una roba imbarazzantissima: il poveruomo va nel panico più completo e cerca - senza successo - di inserirsi fra le note della fisarmonica. La sua tromba sbuffa pero' dei suoni terribilmente inquietanti, simili alle scoregge di un rinoceronte. Di fronte al tavolo coloro che pensano ma che cazzo non riescono a trattenere le risate, coprendosi con tovaglioli, maniche di camicia o bicchieri. Tutt'intorno nessuno fiata. Il sottoscritto si volta verso l'altro lato della sequoia e per non fare la fine di chi ha oltrepassato la soglia delle lacrime è costretto a versarsi dell'ottimo rosso pugliese nel bicchiere di carta. La sensazione, netta, è quella di un programma televisivo a metà fra la Corrida e uno strano reality i cui concorrenti sono scelti fra il pubblico con lo scopo di evitare di ridere. Passiamo in rassegna le varie facce e le reazioni ivi dipinte come se fossimo una telecamera. Facciamo anche gli stacchi e il montaggio. Fortunatamente lo stupro della tromba termina. C'è già chi saggiamente abbandona il tavolo, mentre la corale è pronta a prendere la scena. La corale si è riunita da poco ed ha un repertorio limitato a pochi pezzi (questo, questo e quest'altro). Colei che dirige il tutto si dimena dando le spalle ai presenti, ma ha di fronte una specie di pianola bontempi. Momenti di panico quando l'ultima canzone è introdotta da adeguato sottofondo musicale registrato che spacca i timpani a quelli che ce li hanno ancora (è presumibile credere che almeno un terzo dei presenti li abbia perduti durante il primo conflitto mondiale) e copre soprattutto le voci  in diretta. Il tènnico che si avvicina all'amplificatore plana sui cavi e rischia di regalarci l'ennesima perla della serata. Risatine sommesse e sguardi punitivi. Sul palco un microfono casca da solo, trafitto dalle voci di amianto della corale, e provoca un boato sordo. Gli italiani comunicano muti tramite sguardi attoniti. Viene perfino richiesto un bis: meno male che poi è l'ora del dessert. Manco il tempo di levarsi le briciole dagli angoli della bocca e via con lo spettacolo di clown (professionisti, va detto, quindi nulla a che vedere col resto) inframmezzato da una coppia che si esibisce in canzone sul matrimonio, ricca di giochi di parole e doppi sensi. La coppia è vestita come si deve. Lui, che gestisce la serata da buon padrone di casa annunciando gli spettacoli, è un Al Bano più ironico, più magro, più elegante ed ha il baffo e la tuba. Ogni tanto si dimentica le parole o canta quando non deve ma tu che sei seduto e sorseggi il tuo asti cinzano ti chiedi come mai la serata non sia stata interamente monopolizzata da un tale idolo (NON stiamo scherzando), altro che corali e trombette. E rifletti e ti rendi conto che la gente intorno a te si sta davvero divertendo - a parte gli italiani che continuano a pensare ma che cazzo. Perfino tu, inviato della Tana, nonostante lo sguardo disincantato da entomologo sei giunto ad un punto di non ritorno. La prospettiva cambia. Sei sopraffatto dagli eventi. Il baffo, meritatamente, trionfa. Insomma, devi ammetterlo: ti stai addirittura divertendo (forse perché hai l'acquolina in bocca al pensiero di questo post). E te ne vai intorno alla mezzanotte, terminati i saluti di rito, mentre quasi tutti gli altri non hanno la minima intenzione di schiodarsi da tavola (non garantiamo sulla NON esecuzione di balli vari in tarda serata) e vanno a caccia delle ultime fragole rimaste.

mercoledì 25 maggio 2011

Bisogna Proprio Dirvi Tutto?

Cari amici ma soprattutto amiche della Tana, vi siamo debitori dell'esito dell'abominevole sondaggio che potete ammirare qua sotto. Come abbiamo notato dal numero dei votanti, eravate impazienti in attesa del consueto post riassuntivo. Si è trattato, per la fredda cronaca, del primo sondaggio da parecchio tempo a questa parte a comparire sul blog più amato dagli scaricatori di porto presenti in massa in Via Carmelo. Forse è proprio per questo che la maggior parte di voi hanno subito pensato al peggio: niente letargo, niente Tolstoj ma vai col cesso e coi buffi. Bene, a distanza di mesi oramai possiamo dirvi come stanno le cose: cazzo, se avete ragione. Ma quale delle due risposte vincenti corrisponde a verità? Indovinate un po'. Dato che sapete leggere e fare di conto, vi risparmiamo ulteriori commenti.

Come mai La Tana del Grillo non dava più segni di vita?

E' andata in letargo
  0 (0%)
Era in tournée
  2 (16%)
Era in comunità
  2 (16%)
Doveva pagare i buffi
  4 (33%)
Stava leggendo "Guerra e pace"
  0 (0%)
Era al cesso
  4 (33%)
Non me ne ero accorto
  0 (0%)

giovedì 19 maggio 2011

I Float Down The Liffey

Evidentemente non ancora abbastanza sazia dopo l'abbuffata reale, La Tana del Grillo va di bis la settimana seguente, recandosi nientepopodimenoche nella verde Irlanda, per un previsto weekend ad alta gradazione alcolica. L'atterraggio in quel di Baile Átha Cliath viene preparato a dovere dalla presenza in aereo di autentico esemplare celtico maschio, che nel tragitto fra la capitale del Regno Unito e quella dell'Eire (durata: meno di un'ora) non resiste alla tentazione di scolarsi almeno due heineken volanti, mentre tutto sudato fornisce al suo vicino balbettanti spiegazioni riguardo il disincastrarsi della sua sindria formato famiglia dal tavolino reclinabile sul quale ha poggiato le lattine. Non giuriamo sul fatto che prima di salire in aereo fosse sobrio. That's the spirit. Dublino ci accoglie - manco a farlo apposta - bella e piovosa. Per fortuna il bus attraversa le varie tanche di ferula in periferia e ci molla ad un tiro di schioppo dall'hotel (pulito: unico aspetto positivo), posizionato nell'elegante quartiere georgiano, a ridosso del Grand Canal e proprio dietro St. Stephen's Green. La sera ci pare cosa buona e giusta - dopo l'obbligatoria peregrinazione lungo il Liffey - equipararci alla gioventù, cosicchè ci buttiamo a capofitto a Temple Bar, circondati da gente che caracolla in maniera inequivocabile. Durante la (ottima) cena a base di salmone dalla strada continua a giungere la musica. Dublino senza il suo sottofondo musicale perenne (e senza i suoi indimenticabili semafori sonori per i non vedenti) non sarebbe Dublino. I musicisti di strada si susseguono l'uno dopo l'altro senza soluzione di continuità: ci sono i vecchi con la barbetta gandalfiana ma più folk e la splendida voce straziata dal fumo, gli universitari dall'aspetto punkeggiante che hanno la chitarra scordata e i jeans strappati, i tizi qualunque con la camicia da boscaiolo che passeggiano accanto a te con lo strumento in mano e in un amen decidono che quell'angolino li' è perfetto per loro e si fermano e cominciano a suonare come se niente fosse. La canzone più gettonata (la ritroveremo anche dopo, appollaiati sulla vetrina di un pub, e poi dopo e poi l'indomani e via dicendo) resta questa qui. Alcune pinte dopo, se si eccettuano polacchi che ti si sbattono addosso e altri che ti chiedono con insistenza dove è possibile procurarsi una canna, puoi andare a dormire soddisfatto. Del resto il clima è allegro e rilassato come l'ultima (e unica) volta in cui ci eravamo stati, ben altra cosa dall'alcolismo autodistruttivo al quale abbiamo assistito non più di cinque giorni prima. Neanche a dirlo, Temple Bar ma Dublino in generale pullula di italiani, compreso un ristorante/pizzeria/gelateria che non possiamo evitare di provare. 
L'indomani si parte col turbo, frutto di una bella colazione da campioni in un posticino assai gradevole in Grafton Street (quasi di fronte, c'è un tizio che suona pezzi di Elvis col basso ed ha il berretto pieno di monetine): stile vittoriano, spremute d'arancia, fagioli, salsiccione e thè col latte. Pur essendo il tutto veramente buono, il giorno dopo, pre-partenza, si opterà per un "continental breakfast" allo scopo di preservare il fegato per il resto della stagione. La colazione dà modo di riflettere che la cosa bella della città, oltre alle pinte, alla musica e al verde dappertutto, è la gente. Persone semplici e gentili, ma di una gentilezza autentica, ovunque le si incontri, che non rasenta mai l'invadenza o la ruffianaggine. Inoltre gli abitanti di Dublino sono giovani. Ma non come in Italia, dove lo si è fino a cinquant'anni: qui la maggior parte di quelli che incontri (a parte i turisti, ok) hanno meno di trent'anni. Ed è cosi' al pub, in libreria, al parco, alla fermata dell'autobus. Perfino i poliziotti (la mitica Garda) sono all'apparenza dei ragazzini. Con questa leggerezza nel cuore (e con l'Irish full breakfast in pancia) si visitano in serie: il Dublin Castle, la Chester Beatty Library Gallery, la Christ Church Cathedral e - last but not least - la cattedrale di Saint Patrick. Il Trinity College verrà visitato a tappe, con la promessa di farlo con calma l'ultima sera, tanto è sempre di strada: l'ultima sera, ovviamente, lo si troverà chiuso presto. La fame fa capolino tardi, come previsto, ma non si rinuncia al pranzo presso il pub Bruxelles (quello con la statua di Phil Lynott fuori), accompagnando il pasto con altre due pinte e con il primo tempo alla tv di Everton-Manchester City. Accanto a te puoi incontrare il sessantenne indigeno che vuole vedere la partita, i turisti, la madre di famiglia coi bambini (e con la pinta), il gruppo di amici che si ritrova per fare quattro chiacchiere (e che se la beve di brutto). Il pomeriggio, oltre a digerire il pranzo, si decide di visitare anche l'altra riva, quella proletaria e decisamente meno turistica. Prima si becca uno splendido mercatino delle pulci, dove i presenti (sono le 4 del pomeriggio) sono tutti a birroni, poi si risale lungo O'Connell Street, alzando lo sguardo per capire quanto cazzo è alta The Spire e assaporando l'aroma di fish'n'chips che non si scrosterà più dai vestiti fino... beh fino a poco fa. L'atmosfera è simpatica, forse anche perchè è in corso una manifestazione per la legalizzazione della marijuana e il profumo che aleggia al Garden of Remembrance sostituisce almeno parzialmente quello del fritto. La sera si decide di dare tregua al fegato, infilandosi in un sushi bar ma poi addio sogni di gloria con doppia pinta al Duke, bel pub situato in traversa di Grafton Street. Ancora una volta i camerieri (e pure i clienti) sono tutti sorridenti e gentili ed è incredibile come tutto questo non ti dia fastidio o non risulti esagerato. Oppure magari fingono di essere gentili, pero' lo fanno talmente bene che hai voglia solo di gustare la tua Guinness senza rotture di palle. A proposito di Guinness: non possiamo terminare il post senza citarla. A Dublino il merchandising relativo alla Guinness è addirittura opprimente: ci sono innumerevoli punti vendita con oggetti che vanno dalle magliette ai cavatappi, ai cappelli da baseball col cavatappi sulla visiera, agli accendini. I prezzi, tuttavia, sono mica tanto invitanti (Dublino non è nient'affatto economica e non dà assolutamente l'idea di essere la capitale di una nazione in grossa crisi economica, anzi: bisognerebbe vedere le altre città, pero'), per cui la tentazione di acquistare il gadget, come fanno esattamente tutti quelli intorno a te è forte ma insomma, anche no. Infine il suddetto gadget verrà acquistato, non in città ma in aeroporto (eh già), ed è il seguente: una presina per cucina Guinness, una roba morbidissima per mani giganti, beige coi bordi rossi, con in bella mostra il celebre tucano. (Lo abbiamo già testato col forno, mentre col caffè è più complicato, per via delle dimensioni: non si riesce a stringere bene il manico della caffettiera). Tutti contenti col nostro tucano, siamo ormai pronti per salutare Dublino. L'ultima volta giurammo che non sarebbe stata l'ultima. Idem per stavolta. Nel frattempo, qualche breve scroscio di pioggia annuncia l'imbarco per la prossima destinazione. Che non è troppo lontana, giusto dall'altra parte del Mare d'Irlanda. (continua)  

domenica 15 maggio 2011

Un Buon Non Compleanno A Me

La Tana del Grillo riapre idealmente i battenti in una bella e soleggiata giornata di fine aprile, giorno che casualmente è anche il compleanno di chi vi scrive nonché la data designata di un matrimonio del quale si parla da un po', tipo da secoli. Coincidenze. O forse no. Fatto sta che, tecnicamente, il giorno è lo stesso. E allora, perchè non osare? Avete capito benissimo di cosa stiamo parlando. Farsi festeggiare da decine di migliaia di persone in festa. Ma non in festa per il tuo compleanno. In festa per altro, anche se non lo sanno, perchè le suddette persone sono ubriache fradicie dalle 9 del mattino. Ebbene si': la Tana del Grillo is back. E ricomincia la sua corsa da Londra.
Innanzitutto il fottuto matrimonio reale è al manzano, mentre l'arrivo in città è previsto nel pomeriggio, previo smarrimento pre-albergo nella ridente zona dei Docks. Dunque non vediamo assolutamente un cazzo. Le prime immagini dei neosposi sono disponibili sui giornali in edizione speciale (diffusi ovunque), poi la notte, alla tv, si potrà cominciare a discutere con cognizione di causa dei vestiti, dei barattoli attaccati al paraurti, dei cazzi e dei mazzi. Tuttavia, gli indigeni mandano un segnale forte, mostrando di apprezzare in modo esagerato gli avvenimenti. Alcune zone della capitale sono invase da mandrie di bestiame a due zampe con indosso maschere della regina, maschere di Kate, maschere a forma di bandiera britannica, maschere dei supereroi. Ogni tanto qualcuno ti dà il cinque con la faccia di William o ti consegna una bandiera. Bandiere dappertutto. Dei ciclisti sfilano accanto ai bus con le loro belle Union Jack sulle spalle. Trafalgar Square, tanto per intenderci, è una gigantesca discarica e assomiglia sinistramente ad un post-partita della finale dei Mondiali. C'è un palco enorme sul quale hanno montato un megaschermo, c'è gente strafatta che rantola per terra (che è un tappeto di lattine) e ride, c'è il chitarrista con accento australiano circondato dal solito drappello di curiosi (e di turisti) mentre si cimenta in alcuni classici intramontabili, c'è il market dei pakistani all'angolo preso letteralmente d'assalto dall'orda di personaggi di grande spessore con fame chimica da esportazione. I pakistani se la godono. Ciononostante, il clima è festoso e rilassato, e non c'è alcun problema neppure con i trasporti, o la polizia. Qualche ora di National Gallery dopo, l'atmosfera nei dintorni di Piccadilly è invece assai meno gradevole: i passanti hanno appena cominciato a bere e non danno l'impressione di voler smettere troppo presto. Tu, che hai fame e stai cercando un posto decente che non sia il paraculeggiante ristorante da Franco (e c'è Franco in persona sulla soglia a dare lustro alla nazione) o gli altri mille ristoranti paraculeggianti, avresti voglia di abbatterli tutti senza pietà, come birilli. Si finisce chiaramente per cenare in ristorante paraculeggiante. 
L'indomani si opta di buon mattino (cioè verso le 11, dopo un più che sostanzioso breakfast) per scampagnata a Camden Town, memori delle ottime vibrazioni di qualche anno prima. Cosicché parecchi chioschi e di mercatini più tardi, rientri verso il centro con il piacevore odore di fish and chips che ti accompagna fin dentro le ossa e osservi i tuoi acquisti, risultato di lunghe trattative con venditori di nazionalità varie, le quali trattative ti faranno risparmiare cifre come una sterlina o tutt'al più una sterlina e mezzo. Il meglio lo si dà in un posto chiamato Cyber Dog, che sarebbe (appunto) un negozio cyberpunk dove è possibile comprare qualunque cazzata venga in mente, basta che abbia una qualche attinenza con i videogames, le discoteche o le cazzate. Musica a palla, un piano sotterraneo, luci stroboscopiche, prodotti fluorescenti, commessi con le creste. Infine due ballerini (inevitabilmente tamarroni) che si dimenano sul cubo, al lato della cassa e dietro alla consolle del dj. Il risultato è l'acquisto - giuro- di un aggeggio in grado di creare i cubetti di ghiaccio (!) con le forme di Space Invaders. Non commentiamo gli altri ottocento negozi di Camden, sebbene meritino ben altro trattamento. Non incontriamo neppure la vietnamita che anni fa ci vendette bandiera francese spacciandola per Union Jack: a nostra discolpa, era imbustata. Dopo queste fantastiche avventure urge meritato riposo ad Hyde Park, al cui ingresso c'è una comitiva di studenti cagliaritani, poi un gruppo di siriani alquanto incazzati che manifestano, e ancora gli scoiattoli. Rinvigoriti, puntiamo prima in direzione British Museum - che pero' sta chiudendo e ci regala solamente il tempo di fare conoscenza con i suoi leggendari cessi - e poi verso Southwark, con l'intenzione di fare un salto alla Tate Modern. Alla Tate è impossibile non perderci ore, malgrado non sia la prima volta, e infatti ci si resterà fino a tarda ora, tanto è gratis. Stanchi e affamati come coguari, usciamo. Fuori, nel frattempo, fa freddo e tira un vento della madonna. I turisti che giungono dal Millennium Bridge fanno tutt'uno coi gabbiani. Si cerca un riparo dalla furia degli elementi, costeggiando il Tamigi. A qualche centinaio di metri di distanza ci si imbatte in ristorante giapponese serissimo, con annessa cameriera italianissima. I tavoli non sono dei tavoli ma panche e la nostra panca dà sulla vetrina all'ingresso. Di fronte c'è la strada, ovvero gente che esce dalla Tate, cinquantenni ubriachi in sandali e calze bianche, ragazzine dalle minigonne inguinali, ragazzine dalle minigonne inguinali con sopra disegnata la Union Jack, freaks vari, altri freaks. Inutile dire che TUTTI sono in maglietta a maniche corte (le ragazzine ovviamente sono in canottiera). Per fortuna fa caldo e il cibo è ottimo e soprattutto non è fish and chips. Rifocillati, riflettiamo sul soggiorno londinese ormai in fase finale e sull'ambiguo destino della Tana. Riflettiamo a lungo. Quello che ne consegue, ormai, lo state già leggendo.